72-Scissione ubiquitaria e multiformità di apparenza delle anime nell'Eternon

Appreso come aveva reagito Xurbiz, dopo essersi reso conto che anche la natura umana non sarebbe stata quella da Lui auspicata, fui preso dalla voglia di conoscere come avrebbe fatto il Creatore a distinguere le anime cattive da quelle buone, prima di assegnarle all'Eternon e al Malon. Eppure Egli se le sarebbe trovate davanti per la prima volta, essendo stata sua intenzione di non seguirle da vicino, durante l'intera loro vita in un corpo materiale. Non bastando ciò, bisognava ammettere che un giorno esse sarebbero state una quantità enorme, visto che nel Caducon ci stavano una infinità di pianeti abitati. Ma dopo avere studiato bene il problema, ritenni tale mia idea alquanto ingenua, per aver pensato che l’Ente Supremo si sarebbe messo a controllarle una per una per rivelarne la natura bonaria o perversa e per avviarle al loro luogo di destinazione. Invece, una volta avvenuta la morte del rispettivo corpo, le anime sarebbero pervenute in un luogo che non rappresentava né la realtà eternoniana né quella maloniana. Esso figurava come il vestibolo dell’una e dell’altra, per il fatto che risultava comune ad entrambe. Raggiunto quel posto, le anime venivano colpite da un fascio di luce, il quale, in qualità di rivelatore della bontà, le irradiava e le studiava all’istante. Così ne individuava le azioni buone e quelle cattive fatte durante la loro permanenza nel corpo materiale. La loro qualità positiva o negativa veniva indicata dal colore da loro assunto durante l’irraggiamento da parte della luce. Comunque non erano previste le mezze misure, ossia il mezzo pulito o il mezzo sporco.

Se un’anima si presentava nel vestibolo con una pedina penale non interamente pulita, ossia solo con qualche macchietta corrispondente ad un peccatuccio, cosa succedeva? Ebbene, se nell’anima erano assenti le azioni di qualsiasi tipo di cattiveria o se esse non superavano il livello di guardia, oltre il quale veniva riportata la negatività, il suo colore si presentava lo stesso limpido e celestino; in caso contrario, esso risultava completamente nero. Allora il premio o il castigo diventavano consequenziari per essa. A tale proposito, andava precisato che anche il suicidio era ritenuto una grave colpa. Esso dimostrava che chi vi ricorreva aveva voluto sottrarsi alle proprie responsabilità, quando i disagi della sua vita erano difficili da sopportare. Al contrario, esse andavano affrontate con mente forte e serena. Così alla fine, avvenuta la loro rilevazione, le anime buone si ritrovavano a fruire di un godimento inesprimibile nell’Eternon, nel quale potevano incontrarsi e conversare tra di loro, specialmente tra quelle che erano state parenti o amiche nella loro esistenza materiale. Invece le anime cattive finivano nel Malon, dove avrebbero espiato le loro colpe e sarebbe stato loro vietato di condurre vita comunitaria.

Riguardo al fatto che le anime buone e giuste, dopo essere pervenute nell’Eternon avrebbero potuto incontrarsi e parlarsi, volevo comprendere alcuni punti inerenti alla vicenda, i quali mi erano rimasti ancora totalmente oscuri. In quel luogo, infatti, tali anime si sarebbero ritrovate con l’immagine che il loro corpo aveva avuto da vive. Ma poiché in un futuro remoto se ne sarebbero ammassate una quantità innumerevole nell’Eternon, volevo rendermi conto come avrebbero fatto ad incontrarsi e a conversare fra di loro due anime che erano parenti o amiche da vive oppure avevano stretto amicizia dopo morte. Oppure esse per forza avrebbero dovuto colloquiare con anime a loro sconosciute e, quindi, sempre differenti? Allora, per prima cosa, andava chiarito che nell’Eternon le anime non sempre si sarebbero trattenute a colloquiare tra di loro, visto che esse sarebbero state intente in modo preminente a godersi il fulgore che emanava da Xurbiz. Esso poteva soltanto colmare di letizia e di beatitudine le anime che ne venivano investite. Comunque, se due anime che si conoscevano avessero avuto il desiderio di parlarsi, lì le cose avrebbero funzionato diversamente da come avveniva nel Caducon, naturalmente in una maniera molto più efficiente. Per cui cercai di venirne a conoscenza meglio possibile.

Nell’Eternon, le anime, che avevano intenzione di intrattenersi con altre verso le quali da vive avevano nutrito affetto o simpatia, fossero esse parenti oppure amiche, si sarebbero messe in comunicazione con loro, pur trovandosi esse a grandissime distanze e mescolate alle altre miriadi di anime. In merito a ciò, mi risultava difficile comprendere il meccanismo che permetteva di individuarle, mettendole così in comunicazione tra di loro. Ma poi mi resi conto che per le anime ottenere entrambe le cose non risultava affatto un problema; al contrario, la cosa diventava della massima elementarità. L’anima, che mostrava il desiderio di incontrarsi con un’altra di sua conoscenza, in un primo momento si collegava con il mondo sensibile in cui si era svolta la sua vita terrena. Dopo le bastava solo pensare all’immagine dell’altra anima per entrare in diretto contatto con essa e trasmetterle l’intenzione di averla vicina e di parlare con lei. A sua volta, quella che riceveva il suo messaggio, solamente fissando l'immagine della parente o dell'amica ed esprimendole il desiderio di raggiungerla, si ritrovava in un lampo in sua presenza.

Dopo quelle spiegazioni che mi ero dato, dovevo ammettere che mi era ancora rimasto un dubbio in materia, il quale poi era quello che mi dava più da pensare. Precisamente, esso riguardava le relazioni parentali esistenti tra le anime. Immaginavo già che nel mondo sensibile il rapporto più stretto che si instaurava tra di loro era quello esistente tra genitori e figli. Perciò, a rigore di logica, una volta morti, essi erano quelli che maggiormente erano spinti a cercarsi gli uni gli altri. Secondo me, però, in merito ne veniva fuori un ostacolo difficilmente sormontabile. Ma la mia personale opinione si rivelava esatta oppure dovevo ritenermi in errore? Allora mi conveniva approfondire di più quel complicato argomento. Al riguardo, il mio ragionamento era il seguente. Se le anime A e B erano stati i genitori di C, per la legge della natura, nell’Eternon quest'ultimo doveva avvertire l'esigenza di cercare i primi due. D'altro canto, risultava pure che C era un padre e doveva sentire la necessità di cercare i propri figli. Inoltre, le stesse anime A e B, essendo pure figli, non potevano non avvertire l'esigenza di stare con i propri genitori, i quali non erano gli stessi. A mio avviso, in base a tale mia osservazione, dal punto di vista delle relazioni tra le anime, nell’Eternon, si sarebbe originato un guazzabuglio non indifferente. Infatti, esso obbligatoriamente conduceva ad una catena infinita di parenti ascendenti e discendenti, i quali avevano difficoltà a riallacciare i loro rapporti avuti quando erano in vita. Secondo il mio parere, un fatto del genere avrebbe reso gli uni e gli altri impossibilitati a vivere serenamente il loro rapporto familiare, come si era svolto nella loro vita terrena. Invece poco dopo mi capacitai che il pasticcio da me ravvisato nell’Eternon, a proposito delle anime consanguinee, al contrario in esso non esisteva assolutamente. Esso era esistito solo nella mia logica, che risultava appartenente ad una realtà diversa. Ma abbisognavo di conoscere la logica della realtà eternoniana, poiché essa soltanto riusciva benissimo a conciliare le esigenze dei vari parenti, fossero essi ascendenti, discendenti o collaterali.

Il Sommo Creatore in precedenza si era adoperato egregiamente, perché nel suo regno non venisse a crearsi quanto da me supposto. Infatti, la mia supposizione c’era stata, poiché avevo ragionato con la logica umana, la quale non ammetteva altre alternative. A quel punto, dovevo apprendere come si era ovviato all'inconveniente da me temuto. Grazie al quale, le persone del mondo sensibile erano in grado di beneficiare anche dopo essere morte dei vincoli di affetto e di amicizia. Perciò mi intrigava venire a sapere come era stato risolto nell’Eternon il problema che stavo affrontando. Ebbene, in quel luogo si ricorreva alla scissione ubiquitaria per ovviare ad un problema simile. Ossia, ad ogni anima veniva concessa la facoltà di scindersi in altre sé stesse, identiche in ogni senso, e di svolgere così contemporaneamente la propria esistenza in luoghi differenti e con anime diverse. Tramite tale espediente, non c’era più motivo che nell'Eternon l’inconveniente sussistesse fra le anime. Ma, pur essendo stato risolto da me tale problema, mi restava ancora da sciogliere un altro nodo che apparteneva alla medesima questione, siccome anch'esso mi stava creando dei seri disturbi di comprensione. Per cui mi risultava alquanto ostico trovarvi un ragionevole rimedio.

Come era naturale, durante la sua vita nel mondo sensibile, dalla nascita alla morte, un essere umano sarebbe andato incontro a molteplici cambiamenti del corpo. Per la quale ragione, mi premeva apprendere quale di essi la sua anima avrebbe assunto o sarebbe stata costretta ad assumere nell’Eternon per farsi riconoscere dai parenti e dagli amici. Invece rimasi sorpreso, nel venire a sapere che ogni anima li assumeva tutti quanti insieme. Cioè, essa veniva scorta da un'altra anima, come quest'ultima se la ricordava. Così, se una persona ne aveva conosciuto un'altra da giovane, essa avrebbe ritrovato la sua anima con le stesse fattezze di allora. Se invece altre due persone si erano conosciute da vecchie, esse ritrovavano le loro anime con immagini identiche a quelle con cui esse erano abituate a vedersi da vive. Dunque, oltre alla scissione ubiquitaria, già menzionata, nell’Eternon un'anima era dotata anche della multiformità di apparenza. La quale portentosa facoltà le consentiva di apparire alle altre esattamente come queste se la ricordavano. Per cui, quando un'anima voleva stabilire un contatto con un'altra, la ricercata le appariva con la stessa immagine che era abituata a vedere in vita. Anzi, nel contattarla telepaticamente, essa già si presentava all’altra con l’aspetto che l’altra conosceva. Allora, con un tale ulteriore accorgimento, Xurbiz aveva tolto le anime dall'imbarazzo di non poter più riconoscersi e colloquiare tra di loro, dopo l’estinzione del loro corpo.

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